Le suore, ovvero la fanteria della Chiesa, come le chiama
Marco Politi, nel suo articolo
La riscossa delle suore, pubblicato ne "il Fatto Quotidiano" del 5 marzo 2011, rappresentano una forza in grado di aiutare il cambiamento. Stanno con chi vive in situazioni estreme, senza necessariamente andarsene in missione, e vivono in Cristo, nella tranquilla testimonianza della condivisione. Laboriose, vitalmente attive.
La riscossa delle suore
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano)
Sono la fanteria della Chiesa, se scioperassero un giorno si bloccherebbero case di vescovi, uffici, scuole, ospedali, istituti d’assistenza, tutta l’immensa rete dell’istituzione ecclesiastica. Ma sono anche le meno conosciute. Le suore.
Perché vengono immaginate lontane dal mondo, un po’ bigotte, un po’ buoniste, con gli occhi bassi e l’orizzonte limitato. Poi appare magari una suor Eugenia Bonetti alla manifestazione di piazza del Popolo contro il postribolo berlusconiano e si scopre una realtà del tutto diversa, fatta di migliaia di donne sconosciute, energiche e lucide, che operano nelle trincee della società.
“Sono stata in Brasile, ma le favelas si possono trovare anche a Roma”, mi ha detto una di loro indicandomi baraccamenti dove si vive in condizioni subumane. Lì le suore vanno. In ogni regione. È difficile vederle, perché hanno abbandonato i conventi, gli abiti tradizionali e non odorano di incenso.
Quelle della generazione del nuovo millennio sono profondamente fiere della loro femminilità. Le Piccole Sorelle, che in varie città si dedicano agli immigrati, ripetono le parole della loro fondatrice francese Magdeleine: “Prima di essere religiose, siate donne in mezzo ad altre donne. Le vicine di casa devono sentirci uguali a loro nella fatica di vivere, nel lavoro alle dipendenze di una padrona, nei disagi del contesto sociale”.
Sbagliato è dire che si dedicano “a” chi ha bisogno. Invece hanno scelto di stare “con” chi vive in situazioni estreme. Per questo abitano in stanze qualsiasi. Come le quattro suore Canossiane, di base in un appartamento di Nuova Ostia dove l’altare è un mucchietto di mattoni e il tabernacolo una scatola di ferro. Giorno per giorno girano per il quartiere, chiamate da chi chiede aiuto. Il Terzo mondo, il Medioevo – per chi vuole vederlo – è qui. La tossica che calma con la droga il bimbo di nove mesi. L’handicappata mentale, sposata all’algerino che ne sfrutta la pensione. Il padre italiano, che porta la figlia quindicenne in strada a prostituirsi.
Cambi quartiere e trovi in un appartamento del Testaccio la “Casa Bernardette”, dove negli anni sono state accolte duecento ragazze madri buttate per la strada. “Abbiamo bisogno di tutta la nostra umanità per servire meglio Dio”, dice suor Manuela, convinta della sua consacrazione. “Io, prima che suora, mi sento donna e tale voglio essere in tutta la pienezza della parola”. Facile, racconta, è ubbidire ai superiori in un istituto, mentre “è molto più difficile ubbidire alle necessità di chi bussa alla tua porta e ti pone i suoi problemi”.
Al Portuense vivono le suore della Divina Volontà. Dopo il Concilio hanno fatto una scelta radicale: hanno venduto tutte le loro case e i beni accumulati in un secolo. Tranne la casa-madre a Bassano. E pensare che i vescovi non pubblicano nemmeno i bilanci integrali dei loro beni in diocesi. A Roma c’è persino un gruppo di suore spagnole che per regola non possono risparmiare denaro. Tanto ricevono, tanto danno.
“Suor Elvira dei drogati” sta invece a Saluzzo. Ha chiesto il permesso di lavorare fuori della sua congregazione e ha aperto nel 1983 una casa per i poveri, dove presto sono arrivati i tossicodipendenti. Alla fine ha lasciato il suo ordine per rischiare tutto di persona. Dal suo “cenacolo” sono nate sessantadue Fraternità in diciassette paesi del mondo. La fede, afferma, “non è fare le cose per amore, ma vivendo nell’amore”.
Quello che caratterizza tante esperienze è proprio questo: al posto dell’atteggiamento di assistenzialismo è subentrata la tranquilla testimonianza della condivisione. Si vive Cristo e non si fa proselitismo con la preghiera obbligatoria. Poi tante persone spontaneamente imparano a pregare. O anche no. E questo non cambia di un millimetro lo stato d’animo di queste suore. Un’altra caratteristica è la creatività, lo spirito d’iniziativa individuale. Maddalena di Spello veniva dalla Francia, quando nella cittadina umbra un giorno apre una casa per accogliere chi non ha da mangiare, non ha casa, non ha cure. E lentamente si riunisce intorno a lei un gruppo di altre donne. PUTTANE, drogati, borderline, senzatetto, zingari, immigrati: le nuove suore vivono in mezzo a loro e niente di ciò che è umano è loro estraneo. Per questo, quando i vertici ecclesiastici tuonavano contro Beppino Englaro accusandolo di assassinio, una di loro mi sussurrò: “Ma perché non si stanno zitti una volta!”. Chi vuol saperne di più, legga il libro Suore di Maria Pia Bonanate (ed. Paoline).
C’è anche chi fonda eremi. Nelle Alpi, a Subiaco, in Calabria. Ma sono luoghi del silenzio aperti alla gente. Come l’Eremo delle Querce vicino a Caulonia, con biblioteca, laboratori artigianali, stanze per l’accoglienza. Suor Rossana, suor Renata, suor Carmelita, suor Sandra hanno riadattato un fondo rustico e ne hanno fatto un punto di riferimento in una delle zone socialmente più disgregate d’Italia. “Eravamo come lupi nelle tane... voi ci avete fatto uscire”, ha detto loro una donna del luogo. Sorridono con i loro visi tranquilli di “madri” di figli altrui. Nella Chiesa italiana queste donne in trincea contano quasi zero, quando si tratta di decidere le strategie del cattolicesimo. Sono lodate, ma stiano al loro posto. Decidono i vescovi su società e famiglia, sul vivere e morire. E intanto le suore calano. Nel 1998 le religiose in Italia erano 120.000. Nel frattempo sono scese a novantamila, comprese le straniere.